Intervista a Maurizio Del Conte – Lo Smartworking non risolve tutto

Maurizio Del Conte, professore di diritto del lavoro all’ Università Bocconi di Milano, ci illustra, in questa intervista, come si evolverà lo smartworking

Cornice di Paola Parra

Di Francesca Bazzoni

Torniamo a parlare di lavoro e delle ripercussioni che il Coronavirus sta portando e porterà in Italia. Con noi Maurizio Del Conte, professore di diritto del lavoro presso l’Università Bocconi di Milano, ex presidente dell’Anpal, e attuale presidente della Città metropolitana di Milano che si occupa di formazione e lavoro attraverso i centri dell’impiego e di formazione professionale.

Professore, ci può fare un quadro generale sulla situazione lavorativa attuale?

«In questo momento c’è una situazione prevalentemente di sospensione del lavoro. Le aziende hanno fatto larghissimo uso della cassa integrazione in deroga, finanziata grazie ai recenti Decreto Cura Italia e Decreto Rilancio, che hanno investito moltissime risorse (miliardi di euro) per consentire alle aziende di non licenziare, ma di tenere congelati i rapporti di lavoro in attesa che la situazione migliori. Questa è stata concessa anche a chi non ne aveva diritto, non avendo versato i contributi. Il blocco per legge dei licenziamenti, però, con la fine di agosto verrà meno e allo stesso tempo termineranno gradualmente le risorse sulla cassa integrazione. Questo, a partire dall’autunno, avrà un impatto drammatico sulla disoccupazione».

Di che tasso stiamo parlando?

«Nelle ultime settimane stiamo già registrando dati allarmanti, si parla di un aumento di circa il 10% della disoccupazione, quasi il doppio di prima. Si prevede una persistenza della scarsa domanda di lavoro almeno fino a tutto il 2021; entro la fine di quest’anno saranno circa 750.000 i posti di lavori in meno. Molte aziende dovranno chiudere e molte altre, a causa dei costi, procederanno alla riduzione del personale».

Ci saranno cambiamenti delle tipologie contrattuali che verranno adottate?

«I contratti a termine saranno i primi a saltare, a causa dei mancati rinnovi. Purtroppo c’è questo effetto paradossale per cui le persone meno tutelate, spesso i giovani, che hanno contratti più deboli, saranno i primi a perdere il lavoro. Come in tutte le fasi di crisi acuta si registrerà anche la riduzione del contratto classico a tempo indeterminato, perché le imprese ora non hanno una visione del futuro e non sanno quale sarà il calo in termini di fatturato. D’altro canto cambierà anche il modo di lavorare, abbiamo verificato in questo periodo, quanto si possa fare da remoto. Moltissimi settori, ad esempio le attività dei servizi, possono essere in larga parte remotizzati. Questo consentirà di mantenere l’attività anche in una situazione dove la presenza fisica è impedita e di ridurre i costi lasciando gli affitti, seppur con conseguenze sul mercato immobiliare».

E per quanto riguarda i lavoratori indipendenti?

«Questo è il punto più debole, perché si nascondono delle situazioni spurie, dove l’impresa per risparmiare sui costi contributivi del lavoratore, e per avere maggior flessibilità nel poterlo lasciare a casa, impone un contratto di collaborazione o di lavoro occasionale. Nelle situazioni di ciclo economico negativo, dove la domanda da parte delle imprese è inferiore all’offerta, c’è uno sbilanciamento di mercato e le imprese sfruttano la mancanza di alternative delle persone, approfittando del lavoro indipendente. Capiterà che alla fine di un contratto di assunzione, l’azienda proponga al lavoratore un contratto occasionale».

Come si farà ad aiutare le aziende a non licenziare quando verrà meno il blocco ai licenziamenti?

«Al termine del privilegio della cassa integrazione in deroga, il modo migliore sarà creare condizioni per cui le imprese possano avere dei costi fiscali competitivi, fare investimenti per cui valga la pena produrre in Italia, e fare così impresa nel nostro Paese. C’è una tendenza a comprare il consenso distribuendo pochi soldi subito, piuttosto che investire in infrastrutture che non riempiono nell’immediato le tasche degli italiani, ma che consentono loro di trovare un posto di lavoro degnamente retribuito. Bisogna cambiare la cultura e far valere di più il nostro lavoro e la nostra produzione, prendere esempio da Paesi più avanti di noi. Per ciascun settore abbiamo margini enormi di miglioramento, ma ci vuole una prospettiva a lungo termine che in cinque/dieci anni ci porterà ad avere i servizi del Nord Europa, uniti alle bellezze del nostro Paese».

Molte persone si stanno reinventando, ragazzi che facevano altri mestieri accettano lavori che venivano fino a poco fa ignorati dagli italiani e a cui si dedicavano i migranti. Come cambierà l’occupazione dei diversi settori?

«È un fenomeno che già si sta producendo. Credo che quello che si debba fare ora sia capire che il mercato del lavoro ne uscirà profondamente trasformato, anche sotto il profilo qualitativo; non ci saranno più lo stesso numero di posizioni nelle stesse professionalità, alcuni settori resteranno molto indietro, altri addirittura spariranno e altri ancora riceveranno una forte spinta. Si deve fare un grande investimento in formazione professionale e riqualificazione, per consentire a chi faceva mestieri che sono rimasti intrappolati dalla crisi, di reinventarsi in un’altra attività, evitando di venir tagliati fuori dal mercato del lavoro. Oggi si parla moltissimo di sussidi, cassa integrazione, bonus, ma non di come portare le persone verso le professioni di domani, una delle operazioni più importanti da fare».

Ci sono i fondi per fare questo tipo di operazione?

«Tra marzo e maggio abbiamo varato due decreti per un totale di 80 miliardi, di questi niente è stato investito sui temi della formazione, riqualificazione e accompagnamento delle persone. È necessario fare delle scelte, abbiamo tamponato il non lavoro, ma dobbiamo cominciare a cambiare prospettiva e a dare un aiuto nella ricerca e creazione di lavoro. Il mondo della formazione è uno dei mondi in cui si sprecano più risorse. Bisognerebbe premiare gli enti che sono disponibili a fare corsi professionalizzanti mirati su domanda del committente (il lavoratore o l’azienda)».

Qual è la parola chiave da tenere a mente nell’immediato futuro?

«Trasformazione positiva. Dobbiamo cogliere la trasformazione in maniera positiva e costruttiva. La sfida del cambiamento è impegnativa ma anche entusiasmante, perché ci apre una serie di orizzonti che tre mesi fa non potevamo nemmeno immaginare e in una società vecchia e chiusa come la nostra, potrebbe davvero costituire una nuova fiammella di rigenerazione».